Politica

Contro sé stessi

Contro sé stessi

Per gli esami sanitari c’è la lista d’attesa, per il caos istituzionale la corsia preferenziale. Così, in un solo passaggio, si danno appuntamento tutte le contraddizioni di un assetto disfunzionale, andando ben oltre il pur delicato tema della troppo lunga attesa per curarsi o prevenire il bisogno di curarsi. Ed è anche un’occasione preziosa, perché non si tratta di una partita riconducibile all’ottusa faziosità, perché qui ci sono Regioni di destra contro il governo di destra e il governo contro sé stesso.

La prima scena è da teatro dell’assurdo: prendendo a cuore il problema delle liste d’attesa il governo decide d’intervenire con urgenza e vara, nel giugno del 2024, un decreto che ne tagli i tempi, ma un anno dopo non sembra sia accaduto. Il fatto è che il decreto era urgente ma la sua attuazione no, sicché mancano ancora i decreti che si chiamano “attuativi” e sono atti amministrativi che competono allo stesso governo che aveva prescia e la perse per la via.

Alla seconda scena arriva l’intrigo: in un decreto attuativo il governo istituisce un «organismo di verifica e controllo» (non c’era?), sicché se qualche Regione non procede al taglio dei tempi sarà il governo a sostituirsi, avocando a sé la competenza. Prima si regionalizza, poi si statalizza. Al che le Regioni insorgono e osservano che il decreto sarà pure attuativo ma non stabilisce alcun criterio relativo all’eventuale mancata attuazione, ergo è una minaccia senza regole. Ora, posto che il parere delle Regioni è obbligatorio e non vincolante – vale a dire che il governo è obbligato a chiederlo ma può ignorarlo – va osservato che una delle obiezioni regionali è solida: ci sono Regioni con la sanità commissariata, in cui lo Stato s’è già sostituito all’ente locale ma le cose vanno di male in peggio. La Calabria è commissariata da tre lustri e non se ne vedono né l’effetto né la fine. Ergo: che razza di soluzione è l’avocazione senza vocazione a risolvere?

La terza scena approda alla farsa, quel teatro popolare in cui si ride di fraintendimenti e contraddizioni: il governo che si scontra con le Regioni, volendo potersi sostituire a esse, è lo stesso che dice di volere il regionalismo differenziato, ovvero allargare i campi in cui le Regioni si sostituiscono allo Stato. Il grande Eduardo Scarpetta ride e applaude.

Cala il sipario, perché il resto della commedia deve ancora essere scritto. Rimangono due cose, a imperitura memoria di come ci si possa fare del male.

1 La sanità italiana è buona. Ottima. Si deve sempre volere il meglio e sempre provare a migliorare, ma il confronto va fatto con la realtà e i costi di altri Paesi e i nostri risultati sono ragguardevoli. Questo vale, però, per la sanità intesa come medicina, come cura, come umanità e competenza di chi ci lavora. Non vale per gran parte dell’amministrazione, ivi comprese cartelle cliniche e ricette a valenza regionale e farmacopee dialettali, che non sono un problema medico ma amministrativo.

2 La regionalizzazione della sanità è un conclamato fallimento. Non perché non ci siano sistemi sanitari che funzionano – ve ne sono anzi di eccellenti – ma perché il mio diritto alla salute cambia a seconda di dove sono nato o risiedo. Senza che una disfunzione regionale trovi compensazione alcuna in un subentrare statale, perché non cambia un accidente nella sanità reale.

Capirei se si prendessero gli amministratori delle sanità regionali funzionanti e si assegnassero loro quelle non funzionanti. Avrebbe un senso. Ma rivendicare che ciascuno si tenga i propri o minacciare di sostituirli con uffici brancolanti fra i fascicoli, significa non avere alcun rispetto delle conseguenze.

Se ne riparlerà urgentemente con comodo.

Davide Giacalone, La Ragione 19 aprile 2025

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